La proroga attraverso il Decreto Milleproroghe stabilisce che per tutto il 2025:

📌Le prestazioni effettuate nei confronti di soci, associati e partecipanti da enti associativi restano fuori campo IVA.

📌Le quote associative ordinarie continuano a non essere soggette all’imposta, in quanto non configurano un corrispettivo per una specifica prestazione.
📌Le quote differenziate per categoria di soci dovranno essere analizzate caso per caso per verificare se rientrano nel regime IVA.
📌Le prestazioni occasionali rese dagli enti associativi non saranno attratte nel regime IVA.

Quali enti sono interessati dal rinvio?
Il rinvio al 2026 riguarda tutti gli enti associativi che operano in Italia, in particolare:

📌Enti del Terzo Settore (ETS)
📌Associazioni culturali, assistenziali, politiche e sindacali
📌Associazioni di promozione sociale (APS)
📌Associazioni e società sportive dilettantistiche (ASD e SSD)
📌Enti religiosi riconosciuti

Tutti questi enti beneficeranno di un ulteriore anno senza obblighi IVA sulle attività istituzionali, potendo così adeguarsi gradualmente alle nuove normative in vigore dal 1° gennaio 2026.

fino al 31.12.2025
Le prestazioni rese dagli enti associativi nei confronti di soci e tesserati sono escluse dal campo di applicazione IVA (fuori campo IVA)
Rimangono commerciali tutte le altre attività
Dal 01.01.2026
📌operazioni saranno considerate esenti IVA
📌L’esenzione comporta che gli enti dovranno aprire una partita IVA, emettere fattura elettronica e tenere le scritture contabili.
📌Gli enti esenti non potranno detrarre l’IVA sugli acquisti
📌Agli enti del Terzo settore, diversi dalle imprese sociali, si applicano le disposizioni del titolo X d. lgs. 117/2017 e le norme del titolo II del Testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, in quanto compatibili.
📌Le attività di interesse generale di cui all’articolo 5 del d.lgs 117/2017 ivi incluse quelle accreditate o contrattualizzate o convenzionate con le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, l’Unione europea, amministrazioni pubbliche straniere o altri organismi pubblici di diritto internazionale, si considerano di natura non commerciale quando sono svolte a titolo gratuito o dietro versamento di corrispettivi che non superano i costi effettivi, tenuto anche conto degli apporti economici degli enti di cui sopra e salvo eventuali importi di partecipazione alla spesa previsti dall’ordinamento. I costi effettivi sono determinati computando, oltre ai costi diretti, tutti quelli imputabili alle attività di interesse generale e, tra questi, i costi indiretti e generali, ivi compresi quelli finanziari e tributari.
📌Le attività di interesse generale si considerano non commerciali qualora i ricavi non superino di oltre il 6% i relativi costi per ciascun periodo d’imposta e per non oltre tre periodi d’imposta consecutivi
Sono altresì considerate non commerciali:
📌le attività di ricerca scientifica di particolare interesse sociale, se svolte direttamente dagli ETS diversi salle imprese sociali
📌le attività di ricerca scientifica di particolare interesse sociale affidate dagli ETS ad università e altri organismi di ricerca che la svolgono direttamente in ambiti e secondo modalità definite dal decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2003, n. 135;

le attività di interventi e servizi sociali, interventi e prestazioni sanitarie e prestazioni socio-sanitarie se svolte da fondazioni delle ex istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, a condizione che gli utili siano interamente reinvestiti nelle attività di natura sanitaria o socio-sanitaria e che non sia deliberato alcun compenso a favore degli organi amministrativi.
Non concorrono, in ogni caso, alla formazione del reddito degli enti del Terzo settore di natura non commerciale ai sensi del comma 5:
📌i fondi pervenuti a seguito di raccolte pubbliche effettuate occasionalmente anche mediante offerte di beni di modico valore o di servizi ai sovventori, in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione;

📌i contributi e gli apporti erogati da parte delle amministrazioni pubbliche per lo svolgimento, anche convenzionato o in regime di accreditamento di alcune attività sanitarie
Si considerano non commerciali gli enti del Terzo settore di cui al comma 1 che svolgono in via esclusiva o prevalente le attività di interesse generale in conformità ai criteri indicati nei commi 2 e 3 del presente articolo
a titolo gratuito

corrispettivi <= costi effettivi (tenuto conto anche degli apporti economici degli enti pubblici.

Indipendentemente dalle previsioni statutarie gli enti del Terzo settore assumono fiscalmente la qualifica di enti commerciali qualora i proventi delle attività di interesse generale, svolte in forma d’impresa non in conformità ai criteri indicati nei commi 2 e 3 dell’articolo 79 d.ld 117/2017
nonché le attività di cessione di beni verso gli associati.
eccezione: le attività di sponsorizzazione svolte nel rispetto dei criteri di cui al decreto previsto all’articolo 6 del d. lgs 117/2017, (proventi da attività diverse)
Si considerano entrate derivanti da attività non commerciali i contributi, le sovvenzioni, le liberalità, le quote associative dell’ente, i proventi non commerciali di cui agli articoli 84 e 85 e ogni altra entrata assimilabile alle precedenti,

📌attività di vendita di beni acquisiti da terzi a titolo gratuito a fini di sovvenzione, a condizione che la vendita sia curata direttamente dall’organizzazione senza alcun intermediario;

📌cessione di beni prodotti dagli assistiti e dai volontari sempreché la vendita dei prodotti sia curata direttamente dall’organizzazione di volontariato senza alcun intermediario;

📌attività di somministrazione di alimenti e bevande in occasione di raduni, manifestazioni, celebrazioni e simili a carattere occasionale.
Il mutamento della qualifica, da ente di terzo settore non commerciale a ente di terzo settore commerciale, opera a partire dal periodo d’imposta in cui l’ente assume natura commerciale.
📌Si considera non commerciale l’attività svolta dalle associazioni del Terzo settore nei confronti dei propri associati e dei, familiari conviventi degli stessi in conformità alle finalità istituzionali dell’ente.
Non concorrono alla formazione del reddito delle associazioni del Terzo settore le somme versate dagli associati a titolo di quote o contributi associativi.

📌Si considerano, tuttavia, attività di natura commerciale le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nei confronti degli associati e dei, familiari conviventi degli stessi verso pagamento di corrispettivi specifici, compresi i contributi e le quote supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto

Detti corrispettivi concorrono alla formazione del reddito complessivo come componenti del reddito di impresa o come redditi diversi a seconda che le relative operazioni abbiano carattere di abitualità o di occasionalità
Dispositivo dell’art. 80 Codice del terzo settore
Gli enti del Terzo settore non commerciali di cui all’articolo 79, comma 5, possono optare per la determinazione forfetaria del reddito d’impresa applicando all’ammontare dei ricavi conseguiti nell’esercizio delle attività di cui agli articoli 5 e 6, quando svolte con modalità commerciali, il coefficiente di redditività nella misura indicata nelle lettere a) e b) e aggiungendo l’ammontare dei componenti positivi di reddito di cui agli articoli 86, 88, 89 e 90 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917:
attività di prestazioni di servizi:
1) ricavi fino a 130.000 euro, coefficiente 7 per cento;
2) ricavi da 130.001 euro a 300.000 euro, coefficiente 10 per cento;
3) ricavi oltre 300.000 euro, coefficiente 17 per cento;
altre attività:
1) ricavi fino a 130.000 euro, coefficiente 5 per cento;
2) ricavi da 130.001 euro a 300.000 euro, coefficiente 7 per cento;
3) ricavi oltre 300.000 euro, coefficiente 14 per cento.
Per gli enti che esercitano contemporaneamente prestazioni di servizi ed altre attività il coefficiente si determina con riferimento all’ammontare dei ricavi relativi all’attività prevalente. In mancanza della distinta annotazione dei ricavi si considerano prevalenti le attività di prestazioni di servizi.
L’opzione di cui al comma 1 è esercitata nella dichiarazione annuale dei redditi ed ha effetto dall’inizio del periodo d’imposta nel corso del quale è esercitata fino a quando non è revocata e comunque per un triennio. La revoca dell’opzione è effettuata nella dichiarazione annuale dei redditi ed ha effetto dall’inizio del periodo d’imposta nel corso del quale la dichiarazione stessa è presentata.
Gli enti che intraprendono l’esercizio d’impresa commerciale esercitano l’opzione nella dichiarazione da presentare ai sensi dell’articolo 35 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni.
7. Gli Enti che optano per la determinazione forfetaria del reddito di impresa ai sensi del presente articolo sono esclusi dall’applicazione degli studi di settore di cui all’articolo 62-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427 e dei parametri di cui all’articolo 3, comma 184, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, nonché degli indici sintetici di affidabilità di cui all’articolo 9-bis del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50 convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96.

normativa di riferimento d. lgs 117/2017 articoli 79 e 80

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